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Un alone di mistero mi avvolge

Un alone di mistero mi avvolge
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venerdì 8 gennaio 2010

Tipi universitari: primi dubbi e partenza

I mesi che precedono l’esame di maturità (o che, sulla carta, dovrebbe essere tale) rappresentano una di quella fasi della vita definite di volta in volta “di svolta”, “chiave”, “topiche”, “fondamentali”. Che ramo prendere? Scientifico o umanistico? Che facoltà? Mi butto su quella che ho sempre sognato ma che in prospettiva mi assicura un bel futuro in un call center oppure ne scelgo una con meno appeal ma che il mercato del lavoro sembra richiedere maggiormente? Ma soprattutto, so cosa voglio fare nella vita? Come mi immagino tra 10 anni? Il sogno del pilota d’aereo generalmente dovrebbe essere ormai un ricordo lontano. Un segreto inconfessabile attraversa la mente dei potenziali futuri studenti universitari: ma su una scala da 0 a dieci (i numeri negativi non sonno ammessi) a quanto equivale la mia voglia di prendere ancora in mano quelli strani oggetti definiti aulicamente “libri d’esame”. E che libri poi. Se qualcuno ha avuto fratelli o sorelle più grandi piegati leopardianamente su tomi agghiaccianti e con le palle a mille, una delle domande d’obbligo scaturite da un misto di pietà e curiosità molto probabilmente sarà stata di questo tenore «Scusa ma devi studiare tutto quel coso per l’esame?»
«No, no. Questo è solo per il parziale»
«Ah ho capito. Ma quanti esami devi fare per prenderti la laurea?»
«Eh. Meno male che hanno riformato il piano di studi: solo 32 prima erano 45»

La società fissa delle norme e dei principi che tendono a guidare l’azione umana. Questi principi generano delle presunte verità o dei sillogismi aristotelici. Uno dei più consolidati

Tutti i laureati sono colti
I colti occupano un posto importante nella società
Io sono laureato

In teoria, dunque, mi converrebbe essere colto e per essere colto devo studiare e se studio mi laureo e se mi laureo, un giorno, occuperò un posto importante nella società. Purtoppo, però, a volte, questo sillogismo tende ad essere smentito dai dati di fatto dell’ “esperienza”

Tutti coloro che hanno studiato svolgono un lavoro importante
Io ho studiato
Io non lavoro

Qualcosa sembrerebbe non quadrare… Ma alla fine perché pensare ad un futuro così lontano? Chi vivrà vedrà si dice no? E allora cosa dovrebbe impedirmi di affrontare questa avventura anche se non si sa ancora come? Una volta scelta con decisione e convinzione (?) la facoltà che si intende svolgere si pone un’altra domanda amletica: in che città vado? Da questo punto di vista l’Italia offre una vasta gamma di opzioni. Ogni cittadina con più di 30.000 abitanti, infatti, dispone del suo bell’Ateneo da esibire con orgoglio al mondo. E questo è un grosso problema per tutti i ragazzi/ragazze che vogliono cambiare aria e allontanarsi dal controllo familiare. La distanza minima stimata per essere parzialmente certi che i genitori non pianifichino agguati inaspettati è tra i 500 ed i 1000 km. Molto spesso però il voler fare le valigie ed emigrare non è che sia preso così bene a casa.

Dialogo tra un genitore ed un’aspirante matricola nel profondo Sud:

«Ma perché vuoi iscriverti a Roma/Bologna/Milano/Torino/Seul, se la facoltà che hai scelto c’è anche a Crotone/Reggio Calabria/Lecce/Bari/Foggia/Caserta. Perché mi devi far spendere tutti quei soldi? Ma lo sai quanto costano gli affitti? Che cambia scusa?»

È a questo punto che i ragazzi mostrano tutta la propria maturità e voglia di fare, smentendo di fatto il cliché secondo il quale le giovani generazioni non avrebbero idee chiare, entusiasmo e voglia di futuro
«Ma quante volte te lo devo dire? Se mi devo laureare devo farlo in un’Università prestigiosa. E purtroppo, davvero purtroppo credimi, tutti gli Atenei più importanti sono al Nord. Figurati se non mi sarebbe piaciuto restare vicino a casa nostra. Guarda che anche per me è un sacrificio. Vado a vivere lontano, non conosco la città, devo cucinarmi da mangiare e soprattutto lavarmi i vestiti. Però sono certo che tutti gli sforzi saranno ripagati dopo»
«Ma figghiu, lì non conosci nessuno. Non sei mai stato in una grande città»
«Per fortuna non sono solo. C’è anche , Marco, Giuseppe, Mauro, Antonio, Giovanni, Anna, Rita, Valeria, Sara, Matteo, Elena, Pasquale, Daniele, Rita, Salvatore, Luca. E ci sono anche compaesani più grandi come Andrea, Francesca, Roberto, Antonello, Armando, Carlo, Maria, Gianfranco, Vincenzo ed altri che ora non ricordo. Come vedi siamo tanti e tutti per il motivo che ti ho detto. Non sono io ad essere piccioso è la situazione storico- sociale- politico-economica del nostro Paese ad imporre questa scelta»
«Va bè poi ne discutiamo con più calma. Tu intanto inizia ad informarti meglio sull’Università, le tasse, la casa. Non fare come sempre le cose all’ultimo minuto che poi dobbiamo risolverti le cose sempre noi»
«Si che palle non ti preoccupare. Grazie della considerazione. Mi informo, mi informo. Per la casa comunque dovrò cercarla quando salgo su. Non è un pacco postale che lo acquisti per corrispondenza. I ragazzi che ci abitano vogliono prima vederti e se gli piaci ti prendono. E poi la casa e i coinquilini devono piacere pure a me e incrociare le dita per una felice convivenza»

Ma il richiamo dell’estate, del mare, della spiaggia e del cazzeggio con gli amici procrastinano inevitabilmente tutte le questioni inerenti agli studi futuri (non è meritata una sana vacanza dopo le fatiche “diplomatiche”?) Generalmente è a partire dal 31 agosto che una certa inquietudine comincia a manifestarsi nella mente della matricola, ulteriormente sollecitata dalla partenza in massa degli amici già fuorisede e dai temporali estivi che imperversano con sempre maggior forza e frequenza nei cieli.
In una corsa fantozziana contro il tempo si cerca di recuperare alla velocità della luce tutto ciò che non si è potuto, ma soprattutto voluto fare, nei mesi estivi. Scegliere in modo definitivo la facoltà e la città cedendo a turno alle pressioni dei “milanesi” o dei “bolognesi”, dei “torinesi” o dei “romani”. Il dono dell’ubiquità sarebbe una virtù alquanto gradita in questi casi. Fissati questi due punti sarebbe utile essere certi almeno di non di dover dormire sotto un ponte o su una fredda panchina nei pressi della stazione, chiedendo ad un pio amico o conoscente di essere ospitato in attesa di una sistemazione. Che strana sensazione abbandonare il luogo in cui si è nati, in cui si sono vissute le prime esperienze della vita, i teneri ricordi dell’infanzia e le prime scorribande adolescenziali. In fondo in fondo a quella piazzetta o a quel parchetto in cui ci incontravamo con gli amici per riempire i pomeriggi anonimi della vita di paese ci siamo affezionati ma è un qualcosa che si ammette solo a se stessi. E poi i ragazzini hanno bisogno di poco per divertirsi: un pallone, una bicicletta (i più fortunati un motorino), una sigaretta proibita o un film altrettanto proibito… I gruppi “storici” in cui siamo cresciuti sono destinati inevitabilmente a sciogliersi e a ricomporsi in “formazione minore” in altri luoghi. Con alcuni continueremo a mantenere i contatti quando si ritorna al pasesello durante le vacanze, di altri invece manterremo un tenero ricordo chiedendoci che razza di fine abbiano fatto (soprattutto le amiche…) E chissà se anche gli altri lo faranno altrettanto con noi. Ma dimenticavo che oggi che c’è Facebook, uno strumento indispensabile per non apparire privo di contatti sociali e di “amici”

La prima partenza verso l’ignoto

Yeah finalmente si parte! Il trolley in stile carro funebre è carico quel tanto che basta per iniziare a sfilacciare le cerniere già dal primo viaggio. Il peso medio si aggira intorno ai 50 kg (45 per le signorine che non possono portare carichi pesanti). Per fare prima si getta dentro direttamente l’armadio e poi una volta giunti a destinazione si fa una cernita di quello che serve al momento e di ciò che potrà tornare utile in futuro. Giustamente le mamme sono terrorizzate dal clima potenzialmente e costantemente siberiano di questo famoso Nord. Perciò, nonostante si parta con una maglietta a maniche corte e con i sandali, sono altamente consigliate: sottomaglie in lana merinos, piumoni d’oca, sciarponi, maglioni di chashmere con collo auricolare, anfibi militari, colbacchi, guantoni all’armata rossa e una sempre utile borsa dell’acqua calda. Ma ciò che non può assolutamente mancare per un emigrante del Sud è una scorta di viveri di prima emergenza. E’ un dogma. Di solito vengono riposti in una borsa a parte e generalmente non possono mancare

innumerevoli sughi di qualsiasi tipo: i più gettonati sono quelli alla bolognese, all’amatriciana e al tonno

4-5 kg di carne amorevolmente riposti in una busta termica: la carne di giù è più buona e soprattutto costa meno

Tarallini e frise per non sentirsi lontano da casa

Tanica di olio extra vergine di oliva che i polentoni invidiano tanto ai terroni

Pomodorini freschi

Affettati vari sottovuoto o in vaschetta

Sottaceti (melanzane, carciofi, giardiniera etc)

Biscotti, brioches

Dentifrici, bagnoschiuma, shampi
Un discorso a parte merita la pasta. Si raccomanda alle mamme di non sovraccaricarci ulteriormente di peso perché la pasta si trova della stessa marca e allo stesso prezzo in tutta Italia. Si dicono d’accordo con noi promettendoci di non buttarcela dentro ma, una volta giunti a destinazione, ci accorgiamo con stupore che è stata piazzata furtivamente e nel cuore della notte contro le stesse leggi della natura che avrebbero dovuto impedire al nostro sovraccarico bagaglio di contenere anche uno spillo. All’inizio ci incazziamo ma sotto sotto siamo contenti: miracoli delle mamme……

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